Indice Salva su disco Pag.3 di 4 Precedente Sfoglia Successiva

*

   
L'aver passato sotto silenzio le diverse interpretazioni sorte sul suo conto, ammettendo solo quella di Agostino, ha fatto perdere all'Apocalisse buona parte del suo primitivo significato, e della originaria carica di revulsione dal piano materiale, relegandola ai margini di una letteratura esemplare rivolta al popolo, in prevalenza omiletica, ricca d'immagini di catastrofi e di mostruosi protagonisti, buona per quietare gli animi e ammonire i fedeli a mantenersi puri per non farsi cogliere di sorpresa quando il Signore ritornerà. Ancora nel XIX secolo, segno del favore che continuò a godere, in questa chiave, il Libro della Rivelazione da parte delle gerarchie ecclesiastiche, è documentata la diffusione dei temi apocalittici nelle letture liturgiche a scopo esemplare e come ammaestramento per i fedeli: i quattro cavalieri che spargono miserie, dolori e terrori sull'umanità, le due bestie, la grande Babilonia e tante altre suggestive immagini ricavate dal racconto attribuito a Giovanni, utili per mantenere vivo il sentimento escatologico e il ricordo dei novissimi, cioè degli ultimi eventi, continuarono ad essere usate dal clero come contrappeso ai rischi che potevano venire alla morale di un buon cattolico dall'eccessiva compromissione con il mondo materiale.
   Se la nostra visione dell'Apocalisse è viziata da un fraintendimento di fondo, per cui essa è divenuta sinonimo di catastrofismo e di radicale pessimismo, non è certo per colpa della "cultura laica moderna", ma le ragioni vanno ricercate molto più lontano nella profonda modificazione del suo originario significato, conseguenza di quei mutamenti storici che portarono la Chiesa ad allearsi con l'impero, secolarizzandosi. Evento di portata epocale di cui epifenomeno non irrilevante fu l'abbandono della fede nel prossimo ritorno di Gesù,di quella speranza escatologica, alimentata principalmente dal Libro della Rivelazione, che aveva aiutato a mantenere desta la fiducia nel futuro dei primi cristiani e a sostenerli nel martirio al tempo delle persecuzioni.
   Storicizzare, riportandola nella sua originaria cornice, politica e religiosa, c'è sembrato un motivo valido per tornare a parlare, alle soglie del terzo millennio, dell'Apocalisse. Certo non siamo i primi a proporre un'operazione di questo genere, altri lo hanno già fatto, anche se occorre sottolineare che, al di fuori della letteratura specialistica, non è facile scorgere studi divulgativi attenti a queste sfumature. Tra gli entusiasti sostenitori della Rivelazione e i suoi scettici detrattori, c'è in realtà poco spazio per un approfondimento critico sulle radici storiche e culturali di un mito tra i più espressivi della cosmogonia cristiana. Questioni come la derivazione giudaica della fantasia apocalittica, qualche studioso l’ha definita un midrash, ossia un commento di Daniele, il suo legame con miti escatologici appartenenti ad altre religioni, le trasformazioni subite nel corso dei secoli,così come la tradizione letteraria cui ha dato origine, con motivi affatto nuovi, quali l'imperatore degli ultimi giorni, ci sono sembrati aspetti che meritassero un'attenzione diversa da quella che, in genere, è loro riservata dalla letteratura sulla "fine del mondo". Riflettere sul mito escatologico consegnatoci dall'Apocalisse, inquadrarlo nel suo tempo e definirne le caratteristiche teologiche e etiche, illustrare le sue derivazioni simboliche,ci è sembrato potesse essere di una qualche utilità per chi, pur non avendo confidenza con le grandi dispute interpretative, le metodologie esegetiche e i testi di patristica, abbia comunque interesse ad approfondire l'argomento, al di là della stereotipata definizione veicolata dai mezzi di comunicazione di massa. Tanto più, in una fase storica come quella attuale, attraversata da silenti paure escatologiche e fertile terreno per il ritorno delle fantasie apocalittiche.
   È evidente che non siamo d'accordo con chi ritiene che il proteiforme revival dell'idea apocalittica sia da imputarsi esclusivamente ad allarmistiche campagne mediatiche. Così pure dissentiamo da quanti sostengono impossibile una compulsione escatologica nella nostra società, nata dalla rivoluzione industriale e dalla vittoria della scienza sulla superstizione, attribuendo agli uomini d'oggi una sorta di primazia del buon senso rispetto ai loro progenitori. Crediamo, al contrario, che tale rischio, apparentemente limitato a folkloristiche frange di fanatici neomillenaristi, possa riguardare nel prossimo futuro l'Occidente cristianizzato nel suo complesso. La tesi da cui partiamo, fondata sui risultati di una ricerca condotta nell'arco di un decennio, è che nel generale ritorno del rimosso, in primis del sentimento religioso, sia spazio nella nostra società, come in altri paesi cristiani, per una tensione apocalittica, di cui le sette salvifico -messianiche sono solo, per così dire, la punta emergente, e ciò nonostante i silenzi e i diversi orientamenti della teologia ufficiale. L'aver passato sotto silenzio le diverse interpretazioni sorte sul suo conto, ammettendo solo quella di Agostino, ha fatto perdere all'Apocalisse buona parte del suo primitivo significato, e della originaria carica di revulsione dal piano materiale, relegandola ai margini di una letteratura esemplare rivolta al popolo, in prevalenza omiletica, ricca d'immagini di catastrofi e di mostruosi protagonisti, buona per quietare gli animi e ammonire i fedeli a mantenersi puri per non farsi cogliere di sorpresa quando il Signore ritornerà. Ancora nel XIX secolo, segno del favore che continuò a godere, in questa chiave, il Libro della Rivelazione da parte delle gerarchie ecclesiastiche, è documentata la diffusione dei temi apocalittici nelle letture liturgiche a scopo esemplare e come ammaestramento per i fedeli: i quattro cavalieri che spargono miserie, dolori e terrori sull'umanità, le due bestie, la grande Babilonia e tante altre suggestive immagini ricavate dal racconto attribuito a Giovanni, utili per mantenere vivo il sentimento escatologico e il ricordo dei novissimi, cioè degli ultimi eventi, continuarono ad essere usate dal clero come contrappeso ai rischi che potevano venire alla morale di un buon cattolico dall'eccessiva compromissione con il mondo materiale.
    Se la nostra visione dell'Apocalisse è viziata da un fraintendimento di fondo, per cui essa è divenuta sinonimo di catastrofismo e di radicale pessimismo, non è certo per colpa della "cultura laica moderna", ma le ragioni vanno ricercate molto più lontano nella profonda modificazione del suo originario significato, conseguenza di quei mutamenti storici che portarono la Chiesa ad allearsi con l'impero, secolarizzandosi. Evento di portata epocale di cui epifenomeno non irrilevante fu l'abbandono della fede nel prossimo ritorno di Gesù,di quella speranza escatologica, alimentata principalmente dal Libro della Rivelazione, che aveva aiutato a mantenere desta la fiducia nel futuro dei primi cristiani e a sostenerli nel martirio al tempo delle persecuzioni.
   Storicizzare, riportandola nella sua originaria cornice, politica e religiosa, c'è sembrato un motivo valido per tornare a parlare, alle soglie del terzo millennio, dell'Apocalisse. Certo non siamo i primi a proporre un'operazione di questo genere, altri lo hanno già fatto, anche se occorre sottolineare che, al di fuori della letteratura specialistica, non è facile scorgere studi divulgativi attenti a queste sfumature. Tra gli entusiasti sostenitori della Rivelazione e i suoi scettici detrattori, c'è in realtà poco spazio per un approfondimento critico sulle radici storiche e culturali di un mito tra i più espressivi della cosmogonia cristiana. Questioni come la derivazione giudaica della fantasia apocalittica, qualche studioso l’ha definita un midrash, ossia un commento di Daniele, il suo legame con miti escatologici appartenenti ad altre religioni, le trasformazioni subite nel corso dei secoli,così come la tradizione letteraria cui ha dato origine, con motivi affatto nuovi, quali l'imperatore degli ultimi giorni, ci sono sembrati aspetti che meritassero un'attenzione diversa da quella che, in genere, è loro riservata dalla letteratura sulla "fine del mondo". Riflettere sul mito escatologico consegnatoci dall'Apocalisse, inquadrarlo nel suo tempo e definirne le caratteristiche teologiche e etiche, illustrare le sue derivazioni simboliche,ci è sembrato potesse essere di una qualche utilità per chi, pur non avendo confidenza con le grandi dispute interpretative, le metodologie esegetiche e i testi di patristica, abbia comunque interesse ad approfondire l'argomento, al di là della stereotipata definizione veicolata dai mezzi di comunicazione di massa. Tanto più, in una fase storica come quella attuale, attraversata da silenti paure escatologiche e fertile terreno per il ritorno delle fantasie apocalittiche.

Continua