Se la nostra visione
dell'Apocalisse è viziata da un fraintendimento di fondo, per cui
essa è divenuta sinonimo di catastrofismo e di radicale pessimismo,
non è certo per colpa della "cultura laica moderna", ma
le ragioni vanno ricercate molto più lontano nella profonda
modificazione del suo originario significato, conseguenza di quei
mutamenti storici che portarono la Chiesa ad allearsi con l'impero,
secolarizzandosi. Evento di portata epocale di cui epifenomeno non
irrilevante fu l'abbandono della fede nel prossimo ritorno di Gesù,di
quella speranza escatologica, alimentata principalmente dal Libro
della Rivelazione, che aveva aiutato a mantenere desta la fiducia
nel futuro dei primi cristiani e a sostenerli nel martirio al tempo
delle persecuzioni.
Storicizzare,
riportandola nella sua originaria cornice, politica e religiosa, c'è
sembrato un motivo valido per tornare a parlare, alle soglie del
terzo millennio, dell'Apocalisse. Certo non siamo i primi a proporre
un'operazione di questo genere, altri lo hanno già fatto, anche se
occorre sottolineare che, al di fuori della letteratura
specialistica, non è facile scorgere studi divulgativi attenti a
queste sfumature. Tra gli entusiasti sostenitori della Rivelazione e
i suoi scettici detrattori, c'è in realtà poco spazio per un
approfondimento critico sulle radici storiche e culturali di un mito
tra i più espressivi della cosmogonia cristiana. Questioni come la
derivazione giudaica della fantasia apocalittica, qualche studioso
l’ha definita un midrash, ossia un commento di Daniele, il suo
legame con miti escatologici appartenenti ad altre religioni, le
trasformazioni subite nel corso dei secoli,così come la tradizione
letteraria cui ha dato origine, con motivi affatto nuovi, quali
l'imperatore degli ultimi giorni, ci sono sembrati aspetti che
meritassero un'attenzione diversa da quella che, in genere, è loro
riservata dalla letteratura sulla "fine del mondo".
Riflettere sul mito escatologico consegnatoci dall'Apocalisse,
inquadrarlo nel suo tempo e definirne le caratteristiche teologiche
e etiche, illustrare le sue derivazioni simboliche,ci è sembrato
potesse essere di una qualche utilità per chi, pur non avendo
confidenza con le grandi dispute interpretative, le metodologie
esegetiche e i testi di patristica, abbia comunque interesse ad
approfondire l'argomento, al di là della stereotipata definizione
veicolata dai mezzi di comunicazione di massa. Tanto più, in una
fase storica come quella attuale, attraversata da silenti paure
escatologiche e fertile terreno per il ritorno delle fantasie
apocalittiche.
È evidente che non siamo
d'accordo con chi ritiene che il proteiforme revival dell'idea
apocalittica sia da imputarsi esclusivamente ad allarmistiche
campagne mediatiche. Così pure dissentiamo da quanti sostengono
impossibile una compulsione escatologica nella nostra società, nata
dalla rivoluzione industriale e dalla vittoria della scienza sulla
superstizione, attribuendo agli uomini d'oggi una sorta di primazia
del buon senso rispetto ai loro progenitori. Crediamo, al contrario,
che tale rischio, apparentemente limitato a folkloristiche frange di
fanatici neomillenaristi, possa riguardare nel prossimo futuro
l'Occidente cristianizzato nel suo complesso. La tesi da cui
partiamo, fondata sui risultati di una ricerca condotta nell'arco di
un decennio, è che nel generale ritorno del rimosso, in primis del
sentimento religioso, sia spazio nella nostra società, come in
altri paesi cristiani, per una tensione apocalittica, di cui le
sette salvifico -messianiche sono solo, per così dire, la punta
emergente, e ciò nonostante i silenzi e i diversi orientamenti
della teologia ufficiale. L'aver passato sotto silenzio le diverse
interpretazioni sorte sul suo conto, ammettendo solo quella di
Agostino, ha fatto perdere all'Apocalisse buona parte del suo
primitivo significato, e della originaria carica di revulsione dal
piano materiale, relegandola ai margini di una letteratura esemplare
rivolta al popolo, in prevalenza omiletica, ricca d'immagini di
catastrofi e di mostruosi protagonisti, buona per quietare gli animi
e ammonire i fedeli a mantenersi puri per non farsi cogliere di
sorpresa quando il Signore ritornerà. Ancora nel XIX secolo, segno
del favore che continuò a godere, in questa chiave, il Libro della
Rivelazione da parte delle gerarchie ecclesiastiche, è documentata
la diffusione dei temi apocalittici nelle letture liturgiche a scopo
esemplare e come ammaestramento per i fedeli: i quattro cavalieri
che spargono miserie, dolori e terrori sull'umanità, le due bestie,
la grande Babilonia e tante altre suggestive immagini ricavate dal
racconto attribuito a Giovanni, utili per mantenere vivo il
sentimento escatologico e il ricordo dei novissimi, cioè degli
ultimi eventi, continuarono ad essere usate dal clero come
contrappeso ai rischi che potevano venire alla morale di un buon
cattolico dall'eccessiva compromissione con il mondo materiale.
Se la nostra
visione dell'Apocalisse è viziata da un fraintendimento di fondo,
per cui essa è divenuta sinonimo di catastrofismo e di radicale
pessimismo, non è certo per colpa della "cultura laica
moderna", ma le ragioni vanno ricercate molto più lontano
nella profonda modificazione del suo originario significato,
conseguenza di quei mutamenti storici che portarono la Chiesa ad
allearsi con l'impero, secolarizzandosi. Evento di portata epocale
di cui epifenomeno non irrilevante fu l'abbandono della fede nel
prossimo ritorno di Gesù,di quella speranza escatologica,
alimentata principalmente dal Libro della Rivelazione, che aveva
aiutato a mantenere desta la fiducia nel futuro dei primi cristiani
e a sostenerli nel martirio al tempo delle persecuzioni.
Storicizzare,
riportandola nella sua originaria cornice, politica e religiosa, c'è
sembrato un motivo valido per tornare a parlare, alle soglie del
terzo millennio, dell'Apocalisse. Certo non siamo i primi a proporre
un'operazione di questo genere, altri lo hanno già fatto, anche se
occorre sottolineare che, al di fuori della letteratura
specialistica, non è facile scorgere studi divulgativi attenti a
queste sfumature. Tra gli entusiasti sostenitori della Rivelazione e
i suoi scettici detrattori, c'è in realtà poco spazio per un
approfondimento critico sulle radici storiche e culturali di un mito
tra i più espressivi della cosmogonia cristiana. Questioni come la
derivazione giudaica della fantasia apocalittica, qualche studioso
l’ha definita un midrash, ossia un commento di Daniele, il suo
legame con miti escatologici appartenenti ad altre religioni, le trasformazioni subite nel corso dei secoli,così come la tradizione
letteraria cui ha dato origine, con motivi affatto nuovi, quali
l'imperatore degli ultimi giorni, ci sono sembrati aspetti che
meritassero un'attenzione diversa da quella che, in genere, è loro
riservata dalla letteratura sulla "fine del mondo".
Riflettere sul mito escatologico consegnatoci dall'Apocalisse,
inquadrarlo nel suo tempo e definirne le caratteristiche teologiche
e etiche, illustrare le sue derivazioni simboliche,ci è sembrato
potesse essere di una qualche utilità per chi, pur non avendo
confidenza con le grandi dispute interpretative, le metodologie
esegetiche e i testi di patristica, abbia comunque interesse ad
approfondire l'argomento, al di là della stereotipata definizione
veicolata dai mezzi di comunicazione di massa. Tanto più, in una
fase storica come quella attuale, attraversata da silenti paure
escatologiche e fertile terreno per il ritorno delle fantasie
apocalittiche.