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   È evidente che non siamo d'accordo con chi ritiene che il proteiforme revival dell'idea apocalittica sia da imputarsi esclusivamente ad allarmistiche campagne mediatiche. Così pure dissentiamo da quanti sostengono impossibile una compulsione escatologica nella nostra società, nata dalla rivoluzione industriale e dalla vittoria della scienza sulla superstizione, attribuendo agli uomini d'oggi una sorta di primazia del buon senso rispetto ai loro progenitori. Crediamo, al contrario, che tale rischio, apparentemente limitato a folkloristiche frange di fanatici neomillenaristi, possa riguardare nel prossimo futuro l'Occidente cristianizzato nel suo complesso. La tesi da cui partiamo, fondata sui risultati di una ricerca condotta nell'arco di un decennio, è che nel generale ritorno del rimosso, in primis del sentimento religioso, sia spazio nella nostra società, come in altri paesi  cristiani", per una tensione apocalittica, di cui le sette salvifico -messianiche sono solo, per così dire, la punta emergente, e ciò nonostante i silenzi e i diversi orientamenti della teologia ufficiale.  
   Certo si tratta di un sentimento differente da quello che animò le prime comunità di cristiani, un abisso divide i nostri progenitori e le loro ansie metafisiche dalle attuali paure finalistiche. Ma è proprio da questa scontata osservazione che abbiamo trovato sorprendente, per forza mobilitante e capacità suggestionante, costatare la pervasività del mito apocalittico nella società contemporanea. Dopo aver esaminato nel primo capitolo le caratteristiche dell'escatologia cristiana, alla luce delle precedenti dottrine finalistiche pagane ed iranico-giudaiche, ed aver illustrato le temperie in cui fu scritto il Libro della Rivelazione, la nostra ricerca punta ad illuminare il clima materiale e culturale che rende possibile la reviviscenza del mito escatologico nell'Occidente cristianizzato. Nel capitolo II, in particolare vedremo, attraverso le dichiarazioni di esponenti della cultura e della scienza, quali speranze e timori si appuntano nella nostra società sul prossimo millennio, mentre nel III affronteremo il tema delle grandi paure dell'uomo contemporaneo, delle molteplici facce dell'insicurezza che serra il cuore dei "popoli civilizzati". Paure dell'uomo della strada che si riflettono nel dibattito culturale sui destini escatologici della nostra civiltà, di cui daremo conto nel IV capitolo, dedicato alla fascinazione apocalittica degli intellettuali, dopo la rovina delle ideologie e la crisi della ragione. Nel quinto capitolo è descritto il modo in cui le fantasie della Rivelazione tornano a occupare l'orizzonte culturale della nostra civiltà, partendo dalla rilevazione delle principali emergenze escatologiche dell'ultimo decennio. Analisi dei comportamenti "finalisticamente orientati" che prosegue del VI capitolo dove è presa in esame l'ideologia da cui discendono gli odierni apocalittici, dai fanatici delle sette escatologico salvifiche, ai vergini immacolati del fondamentalismo biblico ai patrioti cristiani, difensori dell'Occidente declinante. Al tema del rapporto fra il mito identitario dell'Apocalisse e i movimenti della Destra razzista e della Chiesa integralista sono interamente dedicati i capitoli VII e VIII mentre nel IX è illustrato il successo che le parole d'ordine del suprematismo e del fanatismo incontrano nella "Fortezza Occidente" di fronte alla minaccia rappresentata dai popoli di Gog e Magog in marcia dal terzo mondo verso la salvezza: suggestione escatologica che risponde alle preoccupazioni dell'uomo bianco e cristianizzato e che si rivela funzionale al mantenimento dell'egemonia occidentale, ma allo stesso tempo forma aggiornata del razzismo biologico, messo fuori legge a Norimberga, che, in nome della tutela di mitiche identità culturali e religiose, rischia di liberare nuovamente la bestia selvaggia dell'intolleranza.
   La nostra indagine sulla fortuna del mito apocalittico si conclude con il successo che, in questa ulteriore veste, sta incontrando nelle cancellerie dei principali paesi occidentali, come utile surrogato ai drammi delle politiche monetariste e neoliberiste, non solo in senso linguistico e simbolico: alla sua attuale reviviscenza non e infatti estranea la forza mobilitante che esso è in grado di sviluppare in presenza di una minaccia alla identità collettiva, e ancora la sua capacità di trasformare i nostri dolori in "doglie messianiche" e i nostri avversari in nemici di Dio. Qualità che non sono ignote agli alfieri razionalisti dello scontro di civiltà, e ai generali della Nato che vanno progettando l'Armaghedon contro il "terrorismo islamico", nuovo nemico totale dopo la scomparsa dell'URSS.
    Nella prospettiva segnata dalla reviviscenza delle fantasie ispirate alla Rivelazione, e in considerazione dell'uso strumentale che di queste potrà essere fatto in futuro, c'è sembrato utile tornare sull'argomento. Il viaggio che vi proponiamo vuol essere in tal senso un piccolo contributo alla comprensione di uno dei miti più resistenti del nostro immaginario cristianizzato, e allo stesso tempo un modo per esorcizzare le paure che si appuntano sul XXI secolo. Tra il prendere atto di un diffuso sentimento apocalittico, di attesa di un'oscura e ineluttabile catastrofe che incomberebbe sul nostro destino, ed ignorarlo, per timore di alimentare la deriva irrazionalista, ci è parso doveroso darne conto così come esso traspare dal linguaggio ordinario e dal pensiero comune, in questo scorcio di Novecento. Senza forzature e compiacimenti, tuttavia, certi che solo parlandone sia possibile evitare di abdicare allo spirito dei tempi e superare gli angusti termini del dibattito sul nostro futuro imposti da chi, "integrato", si fa portavoce di un'ideologia decadente, anti dialettica risposta alla dialettica della storia, che vuol far coincidere l'apocalisse di una certa civiltà con la fine del mondo.
                                                                                                             Paolo Portone