L'unguento magico e il
volo notturno delle streghe:
Ipotesi sulla presenza di riti sciamanici nell'Europa
medievale e
moderna
di Paolo Portone - storico, saggista |
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Hans Baldung, detto Grien, La tregenda
(1510 circa) |
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Nei racconti popolari,
così come nella tradizione favolistica colta, fino alle più recenti
trasposizioni cinematografiche di celebri fiabe, la figura della strega ha
di continuo esercitato un ruolo centrale assommando in sé tutte le
caratteristiche negative della devianza. Modello di mostruosità e di
pericolosità, essa costituisce una sorta di archetipo di tutte quante le
forze che incessantemente minacciano la ragione e la integrità
individuale.
Parlare della strega è
evocare uno spauracchio, materializzare la terrorizzante presenza dei
nostri incubi infantili; è al contempo riportare alla memoria situazioni e
immagini di una suggestività conturbante: il rituale osceno dell'omaggio
diabolico e della danza infernale, le trasformazioni in animali, i
cannibalici banchetti a base di bambini e, ancora, le mirabolanti
cavalcate notturne in groppa alle scope e su orribili bestie. La presenza
quasi ossessiva nella nostra cultura della figura della strega, con il suo
corteggio infernale, ha naturalmente attratto l'attenzione degli studiosi
del folklore, degli antropologi, un po' meno degli storici di professione.
Ancora oggi, quando si tratta di passare dal piano della affabulazione
popolare a quello dell'analisi storica della strega, si registrano non
poche difficoltà e resistenze da parte dell'accademia. Relegata nei
recessi della storia non ufficiale, o comunque tra quegli episodi di
irrazionalità collettiva che di tanto in tanto hanno punteggiato lo
sviluppo della civiltà europea, la stregoneria continua a essere un grande
punto interrogativo, comportando, a parte le diffidenze, non pochi
problemi interpretativi.
Ma cosa si cela in
realtà in questi racconti che rappresentano la matrice di tutte le storie
possibili e che sono ancora capaci di minare le nostre diurne certezze,
facendoci rivivere lo stesso disagio provato da bambini?
In cosa consistette
storicamente la figura della strega e quali furono i motivi che indussero
le autorità secolari e religiose a punire con la morte centinaia di donne
accusate di stregoneria?
Il volo notturno e la
tregenda diabolica sono solo il frutto dell'oscurantismo religioso e della
superstizione popolare o, al contrario, sono il relitto, grottesco e
distorto, di antichissime forme di spiritualità?
Per tentare di dare una
risposta a questi quesiti bisogna necessariamente andare a ritroso nel
tempo, ai secoli in cui in Europa si consumò la terribile tragedia della
caccia alle streghe. Poco ricordato dai manuali scolastici, questo
drammatico episodio della nostra storia ha conosciuto solo di recente, a
partire dalla seconda metà dell'Ottocento, un certo interesse da parte
della storiografia. Oggi, grazie a tali studi, siamo in grado di farci
un'idea di cosa significò in concreto la caccia: il numero dei processi
celebratisi, l'estensione geografica e temporale del fenomeno sono
talmente impressionanti da indurci a considerarlo alla stregua
dell'olocausto degli ebrei e di altre minoranze perpetrato nei campi di
sterminio nazisti.
La caccia alle
streghe può essere in linea di massima suddivisa in tre fasi.
Una prima ondata
persecutoria si scatenò all'indomani della promulgazione della bolla
pontificia Summis desiderantes
affectibus (1484) e della
pubblicazione della "bibbia" dei demonologi e dei cacciatori, il
Malleus maleficarum
(1486). In questa fase iniziale,
durata circa un trentennio, furono principalmente coinvolte la Germania
renana, la Stiria, il Tirolo, le Alpi italiane, Bologna e i Pirenei. Tra
le punte massime raggiunte dalla persecuzione, vanno ricordati i processi
svoltisi a Como e diocesi (nel solo 1485 furono consegnate al braccio
secolare, ossia giustiziate, 41 streghe). Dopo una brevissima pausa, la
giustizia ecclesiastica e secolare tornò ad abbattersi con rinnovellata
ferocia sulle streghe nella seconda metà del secolo decimosesto. Questa
volta la palma della intransigenza antistregonica toccò ai paesi
protestanti. Nel solo Vaud, una regione di circa 160 parrocchie, tra gli
inizi della Riforma e il 1680 ci furono più di 2000 processi per
stregoneria, per la maggior parte (circa il 90% dei casi) conclusisi con
la condanna a morte delle imputate. L'apice della caccia fu comunque
raggiunto nel periodo che va dagli anni '80 del 1500 al 1650. Le regioni
interessate furono la Svizzera, i Paesi Bassi, la Francia, la Scozia, gli
Stati tedeschi (in particolare Wurzburg, Bamberg ed Ellwangen). Raggiunto
il suo acme, la persecuzione andò lentamente scemando, anche se non
mancarono dei significativi colpi di coda. Si registrarono infatti, ancora
nel XVIII secolo, processi nel Glarus, in Polonia, nella Val Poschiavo,
nei domini asburgici e in Germania; in quest'ultima fu celebrato nel 1749
a Wunburg il famoso processo contro Maria Renata Singerin, che diede la
stura in Italia e in Europa a un secolo di acceso dibattito sulla realtà
della magia e della stregoneria.
La cronologia, la
sorprendente estensione e durata hanno indotto alcuni studiosi a rivedere
le tradizionali interpretazioni in base alle quali il fenomeno veniva
spiegato, in particolare la tesi del capro espiatorio e dell'uso
terroristico della tortura da parte delle autorità giudiziarie. E' un dato
ormai acclarato che fenomeni analoghi alla caccia non si sono verificati
in altre società, culture e civiltà, pur immerse nella ideologia magica, e
che sul nostro continente la persecuzione contro una setta di adoratori
del male non interessò né l'età classica né, contrariamente alle opinioni
comuni, i secoli bui dell'alto medioevo. Per la precisione, fino alla
seconda metà del Quattrocento, la persecuzione ebbe un carattere sporadico
e limitato (46 processi istruiti dall'Inquisizione fra il 1320 e il 1486).
Essa investì aree particolari, soprattutto zone dove era stata attiva la
repressione inquisitoriale delle eresie medievali (catari, albigesi,
valdesi, fraticelli): la Francia meridionale, il Delfinato, le Alpi
occidentali italiane, la Germania superiore, le città e diocesi di Como.
La stessa trattatistica demonologica fu tutto sommato ristretta, fatta
eccezione per alcune opere di una certa diffusione come il Formicarius
scritto nel 1435 dall'inquisitore Jean Nider.
Alla luce di
questi elementi appare dunque evidente che per comprendere le ragioni che
produssero il fenomeno persecutorio, la sua estensione temporale e
geografica, la sua intensità, non si può prescindere dagli stretti
rapporti che lo legano agli aspetti più rilevanti della modernità; a quei
mutamenti all'interno di valori e di credenze tradizionali che furono ad
esempio all'origine della Riforma protestante, della repressione del
pauperismo e del vagabondaggio, della lotta contro la licenziosità e
l'irriverenza delle rappresentazioni teatrali, dei balli e delle feste
popolari.
Come osserva lo storico Franco Cardini,
contemporaneamente alla nascita del capitalismo e alla affermazione di
quel rinnovamento culturale comunemente indicato col nome di rivoluzione
copernicana, si registrò in seno alla società europea una profonda
modificazione dell'involucro ideologico costituito dall'arcaico pensiero
magico. La sensibilità urbana, la razionalità calcolante, la dotta
ignoranza, la santa intolleranza dei ceti emersi dallo sviluppo della
civiltà pre-industriale modificarono dall'interno l'antico sapere,
operando una netta divisione tra la cosiddetta magia bianca, appannaggio
delle classi dominanti moderne, legittimata dalle autorità secolari e
religiose, e quella nera, propria dei contadini e degli abitanti degli
"angoli oscuri del continente".
Tra la fine del XV e gli
inizi del XVIII secolo, osserva lo storico inglese Charles Webster, la
magia bianca (colta, razionale, naturale, cristiana) divenne lo strumento
che permise la sopravvivenza del pensiero magico primitivo nel vocabolario
degli intellettuali e dell'establishment politico-religioso, mentre la
persecuzione di quella nera (contadina, tellurica, orale, sensibile,
femminile, diabolica) costituì il mezzo con il quale l'antico retaggio fu
adeguato alle nuove esigenze maturate in Europa.
Il fuoco dei roghi
illuminò la coscienza dell'uomo occidentale, purificandola da quelle
incrostazioni primitive sopravvissute negli interstizi della società
medievale. Se la persecuzione interessò principalmente le campagne e i
cosiddetti angoli oscuri del nostro continente, ai suoi esiti
normalizzatori in campo culturale, psicologico e religioso non furono
estranei gli abitanti delle città e le èlites fautrici del nuovo. In tal
senso la caccia, rappresentando come scrive Robert Mandrau, la più grande
cesura compiuta dalla civiltà occidentale nei confronti del proprio
passato silvestre-pastorale-agricolo, contribuì a forgiare le basi
noetiche dell'uomo moderno, ridisegnando i confini del suo paesaggio
interiore.
Propedeutico alla
caccia fu il grande sforzo compiuto dalla demonologia (oggi obsoleto
strumento di indagine, ma per secoli disciplina non disdegnata da illustri
uomini di cultura e di scienza, quali ad esempio Giovan Francesco Pico
della Mirandola, Jean Bodin, Martin del Rio, Tritemius, Lambert Daneau,
Benedict Carpzov, Giacomo I d'Inghilterra, Joseph Glanvill) nell'associare
le forme più arcaiche e "devianti" dell'universo magico popolare al
diavolo cristiano e nel dimostrare non già la realtà del primo, quanto gli
effettivi poteri del secondo.
In tal modo, creando i
presupposti per la sistematica eliminazione delle forme meno assimilabili
di quella cultura e religiosità, i demonologi piegarono
nell'onnicomprensiva categoria della stregoneria diabolica, la vitale,
originale e autonoma visione del mondo elaborata nei millenni dalla
civiltà neolitica.
Grazie alla tortura
indiscriminatamente applicata nei confronti delle imputate di stregoneria,
ai roghi e alla non meno brutale opera di mistificazione compiuta a
livello ideologico, morale e simbolico dai demonologi, il variegato
patrimonio di conoscenze, esperienze rituali, culti presenti nelle
campagne e negli angoli oscuri, fu costretto nel letto di Procuste
dell'immaginario giudaico-cristiano e fissato nello stereotipo del sabba
diabolico.
-... E la dicta untura, nanti che sia perfecta e che
faccia il debito, se da al diavolo che la acconci, e cusì se la porta per
aliquanti dì e con lo sputo cela benedice e rende. Cusì bisogna che la
benedica con lo sputo la nostra patrona tre volte. E cusì poi con dicto
unguento ce ongemo dicendo: "Unguento, portame alla noce de Benevento",
como che ho dicto, e illi solazamo e jocamo con li diavoli in cose grande,
con tanto gran feste, soni, canti e balli, che non poteria raccontare. E
li diavoli sempre stanno con nuj ad jocare, in forma de homini, e belli e
bianchi come un lacte. ...
-
E' questa la
testimonianza, né particolarmente ricca di elementi fantastici né
elaborata a livello simbolico e narrativo, resa dalla strega Bellezza
Orsini, processata vicino a Roma nel 1528, dopo aver subito la prova della
corda. Nella sua elementarietà, la descrizione del sabba fatta da Bellezza
può essere assunta come esempio standard stregonico imposto da inquisitori
e demonologi, a partire dalla fine del XV secolo.
Identiche descrizioni le
ritroviamo dappertutto in Europa e nelle Americhe lungo tutto il periodo
della persecuzione. Pochi i casi in cui emergono particolari che,
differendo dallo schema generale, siano in grado di aprire uno spiraglio
nella cortina demonologica. Motivo questo che ha indotto in passato molti
storici a ritenere la stregoneria prodotto dell'unione delle menti
disturbate di povere donne con l'intransigenza dogmatica degli inquisitori
e la superstizione dei giudici secolari; prodotto suggellato dalla tortura
e dal timore del rogo.
Eppure la ricerca di
Carlo Ginzburg, condotta sul corpus dei processi dell'inquisizione
udinese, testimonia la sopravvivenza di una credenza antichissima e
originale, quella dei Benandanti (legata forse ad ancestrali rituali di
fertilità) che sfora la griglia inquisitoriale e demonologica, aprendo
nuove strade allo studio dell'in sé della stregoneria. Ad onor del vero,
già negli anni '20 del nostro secolo, una studiosa inglese, Margareth
Murray, aveva sostenuto, senza però un adeguato supporto documentario,
l'esistenza dietro le testimonianze delle streghe di un culto primitivo di
fertilità, sopravvissuto nell'Europa medievale e moderna, fondato
sull'adorazione di due divinità incarnanti lo spirito maschile e
femminile. In mancanza di precisi riscontri, questa tesi fu tuttavia
rigettata dagli storici di professione, che giudicarono lo studio della
Murray una mera elucubrazione e i suoi ragionamenti vacue ciance. Resta
però il fatto, importante, di aver per prima capito che, dietro alle
bizzarre confessioni rese dalle streghe, non vi fossero solo la paura
della tortura e del rogo, o i deliri di qualche donnetta disturbata, ma il
retaggio - sicuramente distorto - di antiche tradizioni cultuali e di
esperienze religiose.
D'altro canto anche da
noi, in Italia, abbiamo la possibilità di verificare direttamente la bontà
della strada indicata dalla Murray. Nei primi due processi per stregoneria
celebratisi nel nostro Paese, di cui siamo attualmente a conoscenza, sono
già presenti le dinamiche porteranno nel corso di più secoli alla
trasformazione del patrimonio culturale e religioso contadino in una
autentica diavoleria.
Due donne furono
processate nel 1384 e poi nel 1390 davanti all'inquisitore di Milano con
l'accusa prima di superstizione e in seguito di stregoneria. Se nel primo
processo contro Sibilla de Laria e Pierina de Bugatis il capo
d'imputazione formulato dal giudice ecclesiastico fu quello di aver
ritenuto reale la loro partecipazione al cosiddetto gioco di Diana
(probabilmente un rito pagano di iniziazione femminile), a soli sei anni
di distanza assistiamo a un sostanziale mutamento nel rapporto fra
l'inquisitore e il mondo della magia e della religiosità popolare. Dopo
esser state sottoposte a tortura, le due imputate confessarono che nei
riti ai quali partecipavano prendeva parte, accanto alla "domina ludi", lo spirito Lucifello, ossia il demonio. Sulla
scorta di questa confessione le due donne furono ritenute colpevoli di
aver partecipato realmente a un rito diabolico e per ciò condannate al
rogo.
Questo episodio,
all'origine della persecuzione in Italia e in Europa, dimostra
prevalentemente due cose. Innanzitutto che, col passaggio dal Medioevo
all'Età moderna, lo scetticismo delle autorità ecclesiastiche nei
confronti dei racconti delle mulierculae rusticarum si tramutò in tetragona fede sulla loro effettiva
realtà. In secondo luogo, che tale processo di concretizzazione del mondo
di credenze, culti e simboli arcaici fu reso possibile attraverso la sua
rilettura in chiave diabolica. D'altro canto, la relativa antichità del
documento milanese dimostra, se ve ne fosse ulteriore bisogno, l'esistenza
di una religiosità popolare molto meno omogenea, in senso cristiano, di
quanto vorrebbe certa tradizione
storiografica.
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Possibili chiavi di
lettura di ciò che dal '400 in poi si intese colpire con eccezionale
durezza possono essere desunte dai documenti precedenti, per così dire,
dell'oro della caccia. Nella documentazione ecclesiastica altomedievale,
in specie, è possibile ritrovare notizie, non del tutto distorte, su
particolari riti e credenze pre-cristiane che continuavano a essere
seguite dai rustici accanto alle pratiche della religione
ufficiale.
Nella famosa istruzione
a uso dei vescovi, nota con il nome di Canon Episcopi, veniamo a
conoscenza, secoli prima della mistificazione demonologica, della diffusa
credenza in alcune donne che:
... sviate da illusioni e seduzioni diaboliche,
credono di cavalcare la notte certune bestie al seguito di Diana, dea dei
pagani (...) e di attraversare larghi spazi grazie al silenzio della notte
profonda ...
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Il sabba sul Blocksberg, incisione
dal Kurtze Lehr-Satze von dem Laster der Zauberei (Brevi tesi sul
vizio della magia) di Christian Thomasius (1711) |
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In un altro importante
documento ecclesiastico altomedievale dell'XI secolo, il
Decretum di Burcardo, vescovo di Worms, troviamo nel XIX libro, intitolato
Corrector, una credenza analoga a quella del Canon, solo che qui al posto
di Diana compare il suo equivalente germanico, la dea
Holda:
- ... Alcune donne affermano di essere costrette in
determinate notti, ad accompagnare una turba di demoni trasformati in
donne, che il volgo stolto chiama Holda ...
... Altre dicevano di uscire
dalle porte chiuse nel silenzio della notte, lasciandosi dietro i mariti
addormentati: dopo aver percorso spazi sterminati con altre donne vittime
dello stesso errore, uccidevano, cuocevano e divoravano uomini battezzati,
a cui restituivano una parvenza di vita riempiendoli di paglia e di legno.
...
... Altre ancora
sostenevano di volare, dopo aver oltrepassato le porte chiuse, insieme ad
altre seguaci del diavolo, combattendo tra le nubi, uccidendo e
infliggendo ferite. ...
-
Ecco allora da questi
documenti affiorare, come una remota radice, un nucleo abbastanza autonomo
di credenze pagane nel cuore dell'Europa medievale. Morfologicamente
queste credenze presentano dei tratti in comune, in particolare: il rito
officiato in onore di una divinità femminile, il conferimento di
particolari conoscenze durante la celebrazione da parte della Domina ludi,
l'uccisione rituale di bestie o uomini e la loro resurrezione, infine il
volo notturno a cavallo di animali per recarsi sul luogo del
rito.
Come testimonia il caso
delle due donne processate a Milano, credenze simili a quelle registrate
nei canoni altomedievali, mantenutesi fino agli albori dell'Età moderna,
costituiscono con molta probabilità il materiale di base per la
costruzione del sabba diabolico.
Tra i vari elementi
costituenti, tuttavia, merita un discorso particolare il volo notturno.
Abbiamo visto infatti, nel processo milanese del '300, come il mutamento
dell'atteggiamento dell'inquisitore nei confronti delle due donne
comportasse essenzialmente, una volta associato il gioco di Diana
all'omaggio diabolico, il reale trasferimento delle imputate sul luogo del
rito. Affermare così la realtà del volo significa ammettere la realtà
della stregoneria e l'esigenza della sua persecuzione. Si capisce bene
perché la dimostrazione della realtà del volo nel corso del XV secolo,
cioè negli anni in cui si venne formando lo stereotipo del sabba
diabolico, divenisse una delle principali preoccupazioni dei
demonologi.
Gli argomenti di
cui si avvalsero i demonologi quattrocenteschi, per lo più domenicani, per
spiegare il volo delle streghe, furono desunti da un lato dalla tradizione
scritturale e teologica, dall'altro dalle categorie del razionalismo
tomista. Illuminanti a questo riguardo sono i ragionamenti svolti da due
demonologi di spicco: il professore di filosofia, teologia e diritto del
collegio di Salamanca, Alfonso Tostato, e l'inquisitore francese Jean
Vineti.
L'insigne biblista
spagnolo fu il primo ad affermare in sede teorica la sostanziale identità
fra la Diana del Canon e il Principe del Male. Su tali basi era così
possibile superare l'ostacolo costituito dallo scetticismo espresso
nell'istruzione altomedievale nei confronti dei racconti delle mulierculae
rusticarum. Il peccato non consisteva più dunque nel ritenere reali le
illusioni del demonio, come aveva affermato fino ad allora la Chiesa, ma
nell'errore di quanti adoravano una divinità oltre l'unico Dio. D'altra
parte, l'associazione del culto di Diana-Holda (Perchta) con l'adorazione
diabolica permetteva al brillante demonologo di affermare la possibilità
che il volo notturno delle adepte avvenisse realmente. Così scriveva
Tostato:
- ... Il diavolo trasportò una volta Cristo nel
deserto fin sul pinnacolo del tempio, e ancora dal pinnacolo su un monte
elevato, come è affermato in Matteo e Luca. Perciò, dal momento che il
diavolo ha potuto trasportare Cristo, potrà anche trasportare chiunque
altro (...) l'esperienza quotidiana lo conferma, esperienza che volesse il
cielo non fosse tanto conosciuta! Infatti sappiamo che molti, in
brevissimo tempo, si recano da luoghi distanti ad altri luoghi, servendosi
per tale scopo di diavoli, che sono i prìncipi dei malefici. E ciò è così
lampante, che sarebbe un'impudenza negarlo, dal momento che vi sono mille
testimoni a conoscenza di ciò. ...
(... ) Pertanto
bisogna dire che l'uomo per sua volontà può essere trasportato dai diavoli
attraverso luoghi differenti, per avere così la collaborazione diabolica
nella realizzazione dei malefici. ...-
Con Jean Vineti,
la demonologia compì un ulteriore passo in avanti nella dimostrazione
teologica e razionale della realtà del volo e del sabba. Nel suo Tractatus
contra daemonum invocatores, l'inquisitore francese sostenne che la
"moderna stregoneria" era un fenomeno assai diverso dall'antica congrega
delle seguaci di Diana. Le streghe aderiscono consapevolmente alla setta
di Satana, compiono realmente ciò che dicono di fare e per questo credere
nella realtà dei loro poteri, compreso quello di volare sulle scope e
sugli animali, non è in contraddizione né con il Canon né con i Sacri
Testi. E' evidente allora, scriveva il Vineti, che le parole del Canon non
possono riferirsi ai moderni eretici che
-... da svegli invocano i diavoli e li adorano,
aspettano e seguono i loro consigli, tributano loro onori e, cosa che
supera la ferocia delle belve, sacrificano ai diavoli i propri figli,
spesso i bambini degli altri, ricorrendo alle loro sconcezze.
...-
Ritenere reali i
riti agrari a sfondo propiziatorio o quant'altro di alieno dalle categorie
morali cristiane era sopravvissuto nelle campagne non era più cosa
superstiziosa, ma conforme agli insegnamenti dei Padri della
Chiesa:
-... Come testimonia Tommaso, il diavolo può
tramutarsi in pneuma e prender le sembianze umane, vuoi maschili vuoi
femminili e di conseguenza partecipare concretamente ai giochi erotici del
sabba. ...-
Parimenti, la
cavalcata notturna delle seguaci di Diana non era illusoria
perché:
- ... un angelo, buono o cattivo, se Dio lo permette,
può per sua natura le virtù trasportare corporalmente un uomo da un luogo
ad un altro, ed anche portarlo molto distante. Infatti secondo Tommaso la
natura inferiore entra a contatto con la natura superiore con quanto ha di
più alto. Ora, la natura materiale è al di sotto della natura spirituale.
Ebbene, tra tutti i moti del corpo il più perfetto è il moto locale, come
è dimostrato in Aristotele, e questo poiché un corpo, in quanto mobile di
moto locale, non ha una potenzialità intrinseca: è in potenza al luogo.
Ecco perché anche i filosofi ammisero che i corpi superiori vengono mossi
localmente da sostanze spirituali. Da ciò vediamo che l'anima muove il
corpo in maniera primaria e principale secondo il luogo. ... -
Quanto sostenuto
dai filosofi antichi è comprovato, affermava il Vineti, dalla Sacra
Scrittura, laddove si dice in Daniele che l'angelo del Signore trasportò
per i capelli e alla velocità del vento in Babilonia il profeta Abacuc,
nell'episodio menzionato nei Vangeli apocrifi del volo di Simon Mago sul
Campidoglio, oltre al già citato passo di Luca e Matteo.
Lasciamo da parte
per il momento questa discussione, anche se sul dibattito sulla realtà del
volo bisognerà alla fine tornare. Limitiamoci per ora a osservare come
nelle confessioni delle streghe compaiano, oltre agli aspetti già noti
della "congrega di Diana", elementi che, per quanto filtrati dalla logica
inquisitoriale e demonologica, potrebbero riconnettersi a una esperienza
estatica fondata sull'uso di sostanze psicotrope, sopravvissuta al pari di
altre antichissime credenze e culti nell'Europa cristiana (battaglie per
la fertilità, culto dei morti, credenze in uomini dotati fin dalla nascita
di poteri speciali).
In particolare
intendiamo riferirci alla pratica delle streghe di spalmarsi il corpo con
uno speciale unguento prima di recarsi in volo al sabba. Pratica attestata
in numerosi processi a partire dal XV secolo. Interessante a questo
proposito è quanto riportava alla metà del Quattrocento, cioè agli inizi
della codificazione dello stereotipo stregonesco, il domenicano Johan
Nider, autore del celeberrimo Formicarius (stampato a Colonia nel 1479).
Racconta Nider che un giorno, dinanzi a un suo correligionario, una certa
donna entrò in un grande recipiente nel quale
- ... si suole fare la pasta, e vi si accomodò;
pronunciate parole malefiche, cosparso di un unguento il capo reclinato,
si addormentò e, immediatamente, per opera del demonio, sognò la dea
Venere e altre cose superstiziose tanto intensamente da gridare di gioia
con voce alterata, e battendo le mani per applaudire, mosse eccessivamente
il recipiente in cui sedeva, cosicché esso, precipitando dall'alto
sgabello, ferì gravemente il capo della vecchia che vi si era accomodata
dentro. ... -
Dinanzi a simili
episodi non ancora del tutto inquinati dalla demonologia e in assenza di
una più dettagliata descrizione dell'unguento non possiamo far altro che
formulare delle congetture.
Innanzitutto, va
osservato come nel patrimonio demoiatrico fossero note le proprietà
narcotiche di piante come la belladonna e la datura stramonium, tanto per
citare alcune delle erbe tossiche diffuse sul nostro continente. E non ci
pare, a questo proposito, un argomento a sfavore di un possibile culto
estatico di origine narcotica l'assenza nei processi di precisi
riferimenti all'amanita
muscaria (il fungo degli sciamani
asiatici). Gli effetti tossici della belladonna, congiunti a quelli della
cicuta, potevano bensì provocare allucinazioni tali da spiegare le
fantastiche visioni delle streghe.
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Un sabba nell'elettorato di
Treviri, da un xilografia degli inizi del XVII secolo.
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D'altro canto non
dovevano essere ignoti alla medicina popolare gli effetti allucinogeni
della segale cornuta, ovverosia del parassita che aggredisce i cereali, in
specie la segale, particolarmente diffusa nell'Europa medievale e moderna
come sostituto del più pregiato grano. Il fungo parassita, noto
scientificamente col nome di claviceps purpurea, contiene un alcaloide, l'ergonovina, dal quale è
stato sintetizzato in laboratorio, nel 1943, l'acido lisergico
dietilamide, l'LSD. Sebbene allo stato attuale non vi siano riscontri
oggettivi circa l'uso sacramentale di tale sostanza, i potenti effetti
psicotropi della segale cornuta dovevano essere conosciuti dalle
mulierculae rusticarum, soprattutto in considerazione delle non rare
epidemie di ergotismo a cui andavano soggette le popolazioni dell'Europa
medievale e moderna. In tempi di carestia poteva facilmente capitare che
farina di segale contaminata dalla claviceps
venisse adoperata per la produzione di pane, provocando così o forme
gravissime di cancrena o convulsioni e crampi violentissimi, accompagnati
da stati simili all'epilessia, con perdita dei sensi per la durata di
alcune ore. Di estremo interesse ai fini del nostro discorso è quanto
osservava, nel 1723, il medico tedesco J. G. Andreas, testimone oculare di
una epidemia di ergotismo in Slesia. Nel descrivere le manifestazioni del
morbo, egli sottolineava come alcuni fossero scossi da contrazioni
dolorosissime, mentre altri "simili a estatici, parlavano in un sonno
profondo" e, toccato il parossismo, si destavano riferendo di varie
visioni.
Quanto poi
all'amanita
muscaria, vogliamo ricordare che,
sebbene il fungo non rientrasse direttamente nelle confessioni delle
streghe, nei loro racconti troviamo spesso riferimento al rospo. Ora, c'è
una specie di rospi, ritenuta dalle credenze popolari velenosa, la quale
si apposta all'ombra dell'ovulo malefico per mangiare le mosche uccise dal
suo veleno; in tal modo, nella pelle di questi batraci si accumula un
potente alcaloide, la bufotenina. Sulla scorta degli studi compiuti agli
inizi di questo secolo da Phisalix e Bertrand, i primi a isolare
l'alcaloide bufotenina nella ghiandola parotide di un rospo, le fantasiose
descrizioni delle streghe assumono ben altra consistenza, laddove si ponga
attenzione soprattutto agli effetti allucinogeni che questa sostanza è in
grado di procurare. Gli studi recenti sulla bufotenina hanno infatti
riscontrato le seguenti manifestazioni: aumento dell'energia muscolare,
dell'aggressività e dell'eccitazione sessuale; aumento delle capacità
psichiche e sensazione di chiaroveggenza; infine, dato assai interessante,
perdita del senso delle coordinate spazio-temporali, con conseguente
sensazione di volare.
Ci troviamo, è evidente,
sia nel caso della segale che in quello del rospo dinanzi a delle mere
induzioni. Esistono tuttavia numerosi documenti e testimonianze che
provano l'esistenza, nella società europea medievale e moderna, di
sostanze narcotiche e tossiche, le quali a vario livello rientravano nella
vita quotidiana dei rustici e degli inurbati: dalla preparazione
dell'innocuo beverone a base di papaverina, somministrato agli infanti, ai
veleni ricavati dalle piante e usati nelle congiure di palazzo, alle
droghe adoperate nella farmacopea popolare come lenitivi.
E' vero altresì che,
come abbiamo avuto modo di osservare, mancano per quanto concerne l'Europa
elementi che possano far pensare, al pari delle popolazioni
meso-americane, all'uso di allucinogeni in una cornice rituale. Un'assenza
che ha indotto numerosi storici e antropologi a ritenere una peculiarità
del patrimonio culturale europeo l'estraneità al mondo delle droghe,
senonché la recente scoperta della mummia di Similau, risalente a 5300
anni fa, potrebbe mettere in discussione tale diffusa convinzione. Gli
scienziati dell'università di Innsbruck sono infatti propensi a ritenere
l'antico abitatore del nostro continente una sorta di stregone o di
sciamano, come testimoniano i funghi conservati nella bisaccia della
mummia, i quali avrebbero poteri allucinogeni, una sorta di LSD dell'Età
del bronzo, forse utilizzati per rituali magici. Un'ipotesi che, se
confermata, potrebbe realmente aprire nuove e inaspettate vie allo studio
dello sciamanesimo in Europa e all'accertamento delle sue vie di
diffusione.
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Il sabba sul Blocksberg, incisione
dalla Blockes-Berges Verrichtung di Johannes Praetorius
(1668)
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Ma atteniamoci ai fatti
e ritorniamo al veemente dibattito apertosi, sul finire del XV e gli inizi
del XVI secolo, fra i sostenitori della realtà diabolica del volo delle
streghe e quanti, da più versanti, si dichiararono
scettici.
Nel
primo decennio del '500, un coraggioso frate minorita lombardo, Samuele de
Cassinis, nella sua Questio lamiarum (1505), tentò di
scardinare dall'interno la "perfetta costruzione del mondo delle streghe
alla cui realizzazione massimamente contribuirono inquisitori e teologi
domenicani". De Cassinis, comprendendo a pieno l'importanza che assumeva
la dimostrazione della realtà del volo nella formulazione dell'accusa di
stregoneria diabolica e forte della sua solida preparazione
teologico-filosofica, puntò attraverso "la sottile analisi delle
possibilità diaboliche nel determinare il movimento dei corpi" a provare
l'improbabilità del trasporto notturno a opera del diavolo.
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Siamo tuttavia in
presenza di argomentazioni che traggono sostegno dal medesimo retroterra
culturale dei demonologi, utili senza dubbio a contrastare l'ondata
persecutoria, ma non in grado di scardinare i presupposti
ideologici.
Molto più eversiva
rispetto ai tempi fu la posizione assunta da Pietro Pomponazzi nel suo
De naturalium effectuum causis sive
de incantationibus (Basilea, 1556).
Egli, in nome della filosofia naturale, restrinse i confini terreni delle
influenze demoniche, asserendo l'origine allucinogena del volo notturno e
delle fantastiche descrizioni del sabba. La spiegazione naturale delle
confessioni delle streghe andava dunque ricercata principalmente negli
unguenti che esse dicevano di usare.
Qualche decennio più
tardi, per la precisione nel 1589, un mago-filosofo naturale, il
napoletano Giovan Battista Della Porta asserì apertamente, sulla scia del
Pomponazzi, la stretta relazione tra gli effetti allucinogeni degli
unguenti e il volo delle streghe. Egli, nel suo libro Magia naturalis
, raccolse alcune formule usate dalle
streghe per la preparazione dei famosi unguenti e, al fine di studiarne
gli effetti, fece ungere in sua presenza una vecchia in odore di
stregoneria. I risultati di quell'esperimento convinsero vieppiù il
mago-filosofo napoletano che, solo dopo essersi cosparse il corpo con quel
miscuglio, le fattucchiere "credono
di volare, di banchettare, di incontrarsi con bellissimi giovani dei quali
desiderano ardentemente gli abbracci".
Sempre in quell'arco di
tempo, altri uomini di scienza, medici e filosofi, giunsero a conclusioni
analoghe. Il medico spagnolo Andreas a Laguna sperimentò l'uso di sostanze
simili a quelle descritte dal Della Porta, ottenendo risultati che
confermavano la tesi che il volo delle streghe fosse un fenomeno naturale,
provocato dagli unguenti allucinogeni. Gerolamo Cardano, il medico
milanese che soleva definirsi "magus, incantator" e che diceva di cadere in estasi ogni qual volta lo
volesse, sosteneva la tesi che, nella maggior parte dei casi conosciuti,
l'uscita da sé delle streghe era da ricondursi a ragioni prettamente
naturali (De rerum varietate, 1557). Nel 1592, infine, veniva pubblicato
un trattatello intitolato Dell'estasi straordinaria di alcuni uomini che
talvolta vanno in estasi in questo o quel luogo con l'anima e senza il
corpo. L'autore, un certo S. Fridrich, nativo di Lindau, distingueva
l'estasi dei profeti, quella di uomini e donne pie (per esempio di sua
madre e sua nonna), quella dovuta a cause naturali e quella delle streghe
ottenuta tramite unguenti.
Che dietro al volo
notturno delle streghe potesse celarsi un'esperienza narcotica non era
dunque, per importanti esponenti della medicina e della magia naturale,
una semplice ipotesi, ma una realtà comprovata da numerose testimonianze
ed esperimenti.
Viene spontaneo di
domandarsi a questo punto quale sia stato l'impatto di queste tesi nel
dibattito apertosi sull'esistenza delle streghe diaboliche e quali furono
le reazioni dei demonologi.
Ora, premettendo che
nessun effetto immediato sull'andamento della caccia fu esercitato dalle
affermazioni di un Pomponazzi e di un Della Porta, dato anche il ristretto
pubblico al quale si rivolgevano, c'è un fatto che colpisce la nostra
attenzione e merita un approfondimento. Non pochi demonologi e fautori
della caccia erano, infatti, al corrente degli effetti narcotici delle
sostanze impiegate negli unguenti e non pochi tra loro ignoravano la
possibilità che la cavalcata notturna e la tregenda fossero collegate a
culti estatici. E' questo, a nostro avviso, un elemento di singolare
importanza che fino ad oggi non ha avuto il dovuto interesse da parte
degli storici e che, se attentamente vagliato, potrebbe indurci in una
riconsiderazione complessiva del fenomeno persecutorio.
Come spiegare, infatti,
l'atteggiamento del medico francese De Nynauld, convinto demonologo, che
nel trattato De la lycantropie,
transformation et extase des sorciers, pubblicato a Parigi nel 1615, distingueva tre tipi di
unguento? Quello che fa credere alle streghe di recarsi realmente al
sabba, ma agisce unicamente sull'immaginazione; quello che permette un
vero trasporto al sabba (naturalmente con il permesso di Dio); quello che
dà l'illusione di una trasformazione animale. A ben vedere, la
suddivisione proposta dal medico francese ricalca solo in apparenza quella
suggerita dal Fridrich. Ci troviamo, ma è solo un'ipotesi, dinanzi alla
riduzione delle ragioni addotte dai fautori dell'origine naturale del volo
nelle rigide categorie della demonologia diabolica, come a dire
un'attualizzazione del pensiero pre-scientifico a uso e consumo dei
cacciatori di streghe. Procedimento, a dire il vero, non raro nella
demonologia, se pensiamo ad esempio all'uso che il francescano Sinistrari
fece dell'invenzione del microscopio per giustificare le sue bizzarre tesi
sui demoni incubi e succubi.
D'altro canto, anche
coloro i quali non pretendevano di accordare le proprie opinioni alle
teorie in voga tra i maghi naturali, sulla sola scorta delle loro
conoscenze dirette (della loro razionalità), erano ben al corrente delle
proprietà narcotiche degli unguenti. E' questo il caso del giurista
Nicholas Remy, autore della Demonolatreia
(1595) e di Pierre De l'Ancre, autore del Tableau de l'incostance de mauvais anges et
demons (1613), i quali, sebbene non
ignorassero né gli effetti degli unguenti, né cause naturali (come la
particolari condizioni patologiche di alcune imputate: epilessia,
amenorrea, dismenorrea, insufficiente o cattiva alimentazione), ciò
nonostante ribadirono, con "l'occhio affilato dall'odio", le proprie
convinzioni circa la realtà diabolica del volo delle
streghe.
Che dire, infine,
dell'irrazionalità mostrata dall'antesignano degli studi giuridici, il
giureconsulto francese Jean Bodin, nella spiegazione dei racconti delle
streghe, lui che - come testimoniano recenti studi - non era certo digiuno
di nozioni naturali?
Forse una spiegazione
indiretta a questo curioso cortocircuito della ragione, che a suo tempo
indusse uno storico del calibro di Lucien Febvre a parlare di doppio
oscuro della razionalità pre-moderna, potrebbe trovarsi nella violenta
requisitoria che l'insigne giurista francese svolse dalle pagine del suo
"best-seller", la Demonomanie des
sorciers, contro i sostenitori della
spiegazione naturale del volo.
Sia Cardano che Della
Porta furono, dalle pagine della Demonomanie,
accusati da Bodin di necromanzia e di collusione col demonio. Interessante
è, inoltre, un episodio, poco noto, che si registrò a tergo della querelle
fra Bodin e il Della Porta. Il mago napoletano, pur replicando duramente
alle accuse rivoltegli, sentì l'esigenza, forse per cautelarsi da
eventuali azioni giudiziarie, di sopprimere dall'edizione successiva della
Magia naturalis il passo relativo all'esperimento dell'unguento
magico.
Certo, la tacita
autocensura del mago-filosofo dimostra come, nel clima di intolleranza
creato dai fautori della caccia, non vi fosse spazio per alcuna critica e
alcun dubbio sulle pretese ragioni della demonologia. Bodin tacciava di
empietà chiunque si azzardava ad applicare metodi e ragionamenti che sono
propri della scienza alla teologia, vera regina delle scienze. Oppure, in
questa secca reazione da parte di un uomo di scienza come Bodin v'era
forse il timore che l'esperimento del Della Porta rappresentasse un
fastidioso cavallo di Troia con il quale la cittadella dei demonologi
avrebbe potuto essere espugnata. Non altrimenti è comprensibile la durezza
usata nei confronti dell'autore della Magia naturalis
. Per Bodin, implacabile giudice nei processi di
stregoneria in qualità di presidente del tribunale di Laon, i malefici
(maghi, necromanti, streghe e chiunque altro) non dovevano semplicemente
vivere. In quest'ottica le spiegazioni naturali, come le sottigliezze
giuridiche di un Alciato, erano solamente dei diversivi, inutili ed empi,
che avevano come obiettivo quello di negare, in definitiva, la presenza e
l'opera dello Spirito del Male e, quindi, di mettere in discussione il
principio stesso dell'accusa di stregoneria.
Sulla falsariga di
questi cattivi maestri italiani, maestri di scetticismo e di empietà,
s'inserisce l'opera di un altro grande avversario del giureconsulto
francese, il medico del Brabante Johann Wier, allievo di Cornelio Agrippa
di Nettesheim e autore di un celeberrimo libello, intitolato De lamiis,
pubblicato nel 1577.
Il Wier, assurto dalla
storiografia positivista a benefattore razionalista dell'umanità, è a ben
vedere molto meno innovativo di altri suoi contemporanei riguardo alla
spiegazione della stregoneria. Senza mettere in discussione la cornice
ideologica dei demonologi, egli riteneva che le streghe fossero vittime
del demonio, anche se non artefici delle assurde e impossibili operazioni
a loro attribuite. Trattandosi di donne disturbate, cioè affette da
melancolia, per di più anziane e semplici, Satana aveva facile gioco a
illuderle, facendole credere di volare e di partecipare al sabba. Il
Principe dell'inganno e delle burle, dunque, attraverso di esse aveva come
scopo quello di ingannare giudici e dotti. Chi prendeva sul serio i
deliranti racconti delle streghe era già caduto, secondo Wier, nelle reti
che Satana gli tende. Quanto alle povere donne di campagna, alterate nei
loro umori dalla cattiva alimentazione, dalla morbosità dello stato
melancolico, il medico suggeriva di non sacrificarle a Vulcano, ma di
curarle con l'elleboro (il rimedio dei pazzi). Inoltre, sul ruolo
esercitato dagli unguenti nelle esperienze vissute dalle streghe, Wier si
fece portavoce di una curiosa spiegazione. Pur al corrente di quanto
asserivano i suoi colleghi d'Oltralpe, in specie dell'esperimento
descritto dal Della Porta, egli circoscrisse gli effetti estatici
dell'unguento, riducendolo a un semplice soporifero consigliato alle
streghe dalla maligna intelligenza diabolica. Scriveva Wier al
proposito:
- ... Quel maestro di frodi, per conseguire i suoi
fini, fornisce talvolta alle streghe certi preparati naturali che, una
volta spalmati e frizionati addosso, provocano loro l'illusione di volare
attraverso i camini, di spostarsi per l'aria in ogni direzione, di andare
ad orge e deliziosi concerti, di subire amplessi ed altre piacevolezze di
questo genere; in realtà quell'ingannatore dalle mille risorse imprime
tutto questo nelle loro menti durante il sonno, quando, dopo essersi unte
con l'unguento soporifero, cadono senza accorgersi e totalmente in uno
stato di profondo letargo. ...
-
Con un
procedimento analogo a quello adottato dai demonologi, i quali avevano già
associato i culti diffusi presso i rustici sic et simpliciter all'adorazione del demonio, Wier riduce le esperienze
oniriche e narcotiche alle illusioni diaboliche e l'unguento a un
espediente fornito dalla scienza satanica alle dementi donnette di
campagna. Scemava in tal modo ogni considerazione sugli effetti
allucinogeni causati dall'unguento e, in ultima analisi, la possibilità di
dimostrare la realtà narcotica del volo stesso, come sostenuto dal Della
Porta.
Negata, sia pure
da posizioni di tolleranza, qualsivoglia forma di autonomia culturale ai
voli notturni e a quanto si celava dietro alle tregende, si andò
affermando un cliché destinato a durare secoli: quello appunto della
strega vecchia, ignorante, affetta da disturbi psichici, immolata sul rogo
dall'intolleranza e dalla crudeltà dei giudici. Uno stereotipo duro a
morire, giacché a partire dall'Età dei Lumi esso rappresentò uno dei
cavalli di battaglia dei filosofi éclaire nella lotta contro la
superstizione e l'oscurantismo della Chiesa.
Il nostro Girolamo
Tartarotti, intervenendo autorevolmente alla metà del XVIII secolo sulla
questione dei poteri diabolici, nel suo Congresso notturno delle lamie,
sostenne che tra le cause che portavano le streghe a confessare cose
incredibili ed enormi vi era il fatto che, nella maggior parte dei casi,
si trattava di povere femmine di campagna:
- ... che non vivevano altro che di latte, erbe e
castagne, legumi e altri cibi somiglianti, i quali generano sangue grosso
e lento, e producono sogni orribili e spaventosi. ... -
Un'altra causa era
data dalla loro particolare complessione atrabiliare o
melancolica:
- ...
che le portava a coltivare pensieri
torbidi e idee stravagantissime in modo così ossessivo da asserirli anche
davanti ai giudici e col timore del castigo. ... -
Infine Tartarotti
menzionava l'unguento, che:
- ... altro non è che un potentissimo narcotico, il
quale lega altamente i sensi e gli sepelisce in un profondissimo sonno.
... -
La donna in cui
concorrevano tutte queste cause, proseguiva il Tartarotti, "ha una
fantasia già sufficientemente predisposta a riscaldarsi e bollire" e
pronta a rappresentare ogni cosa immaginabile, tanto più le forze oscure e
invisibili legate al diavolo.
Se lentamente era andato
sfaldandosi il castello costruito in secoli dai demonologi e dagli
inquisitori grazie all'annichilimento - per usare un termine caro ai
nostri illuministi - dei poteri diabolici, restava in piedi, come abbiamo
visto, un cliché mistificante nei confronti dell'in sé della
stregoneria.
Non deve perciò
stupirci allora se ancora nel nostro secolo troviamo giudizi orientati,
anche in campo specialistico, allo stereotipo della strega vittima della
propria debolezza e del fanatismo dei giudici. A tale proposito è
indicativo di una certa corrente interpretativa quanto scriveva su una
rivista di storia della medicina S. Mazalkowicz. Partendo dal presupposto
che vi fosse un'origine comune nei racconti delle streghe, egli giungeva a
sostenere che questa era il frutto di "un delirio tossico di individui
psichicamente tarati, svolgentesi in una determinata atmosfera che
indirizzava il detto delirio verso determinate espressioni". Non molto
diversamente si esprime, in tempi più recenti, Piero Camporesi, il quale
nel suo lavoro intitolato Il pane selvaggio accredita la tesi secondo cui
la stregoneria rappresenterebbe la manifestazione di uno dei molteplici
deliri tossicologici caratterizzanti la società
preindustriale.
Pur continuando a
godere di una certa considerazione tra gli storici, oggi simili tesi
riduzionistiche rispetto all'in sé della stregoneria sono state
soppiantate da indirizzi di ricerca che, a partire dalla rivalutazione dei
racconti delle streghe, mirano ad accertare l'eventuale presenza in Europa
di esperienze analoghe allo sciamanesimo siberiano e
meso-americano.
Da noi Alfonso Di Nola,
accogliendo l'interpretazione dello storico Stylgmair, sostiene la stretta
connessione fra la stregoneria diabolica e lo sciamanesimo. La strega
avrebbe - secondo Di Nola - tutte le caratteristiche dello stregone di
altre culture primitive, ma con connotazioni negative e antisociali che la
renderebbero partecipe di una particolare forma sciamanica, di sinistra o
nera. Questa tesi, pur avendo il merito di porre in relazione la figura
storica della strega europea con tradizioni appartenenti ad altre culture,
presenta il duplice difetto di non essere, da un lato, confortata da
un'adeguata ricognizione documentaria e, dall'altro, di assumere come
propria l'ottica di demonologi e inquisitori, mutuandone categorie e
giudizi.
Più solida e feconda di
sviluppi ci sembra la posizione assunta da Ginzburg, dopo lunghi anni di
ricerche di archivio e di articolata analisi storica e antropologica. Già
nei Benandanti, egli aveva sostenuto che la stregoneria andava risolta
nell'ambito della religiosità popolare e non della farmacologia o
psichiatria, "poiché le presunte allucinazioni, anziché situarsi in una
sfera individuale, privata, posseggono una consistenza precisa".
Attraverso lo studio di quell'eccezionale serie di processi conservati
nell'Archivio di Udine e che testimoniano un caso quasi unico di
divaricazione tra gli schemi demonologici degli inquisitori e i racconti
degli imputati, egli è riuscito a tracciare i caratteri generali di quella
che, molto probabilmente, è stata un'esperienza religiosa fondata sulla
ritualizzazione dell'uscita da sé (i benandanti dicevano, infatti, di
uscire in certi periodi dell'anno fuori del corpo), appartenuta per secoli
alla cultura friulana, fino a quando, nella seconda metà del '500, essa
cadde sotto l'occhio delle autorità ecclesiastiche.
Più di recente Ginzburg
è tornato sull'argomento della stregoneria con una poderosa ricognizione
storico-antropologica che ha come scopo principale quello di valutare le
possibili radici storiche e preistoriche, europee ed extraeuropee, dei
racconti delle streghe. Alla luce di quanto emerge dalla ricerca svolta,
l'autore si dice comunque scettico sulla possibilità che nelle confessioni
vi sia trasmessa la rielaborazione degenerata di una esperienza estatica
provocata dall'assunzione di sostanze allucinogene; d'altro canto,
soggiunge, non è detto poi che tali riti siano mai realmente esistiti.
Un'affermazione che, di
primo acchito, potrebbe apparire contraddittoria, ma che in effetti si
collega perfettamente alla cornice ideologica che fa da sfondo all'intero
lavoro. La stregoneria e la storia della sua persecuzione vanno inserite,
a detta di Ginzburg, all'interno di quella lunga catena di episodi di
intolleranza verso i diversi (ebrei, valdesi, lebbrosi) che hanno
punteggiato la nascita della nostra civiltà. Ammesso che abbia avuto una
originalità agli occhi degli inquisitori, l'eresia stregonesca, la sua
potenzialità eversiva sarebbe consistita nei suoi simboli e nelle sue
credenze (in uomini dotati di particolari poteri, nel culto dei morti,
etc.) e non già in presunte pratiche.
Singolare davvero la
conclusione a cui giunge Ginzburg. L'autorevole studioso sovietico
Vladimir Propp, non ignoto all'autore di "Storia notturna", sosteneva, nel
suo libro intitolato "Le radici storiche dei racconti di fate", che non vi
è mito senza un'esperienza storicamente data. Per Propp, nelle culture
primitive, "rappresentazione e danza non erano spettacoli ma un
procedimento magico per agire sulla natura", l'azione - aggiungeva -
precede comunque la formazione del mito, che si sviluppa solo in un
secondo momento.
Ed è per questo che ci è
difficile immaginare una mitologia e una simbologia estatica (cavalcata
notturna, trasformazione animale, cannibalismo rituale, viaggio
nell'aldilà) scorporata da qualsiasi dimensione rituale fondata
sull'uscita da sé; sarebbe infatti un po' come ammettere l'Eucarestia
senza il sacrificio di Cristo. A meno che non si voglia chiamare in causa
il fenomeno noto agli studiosi di alterazione della coscienza con il nome
di "effetto eco". A causa dell'uso continuato di allucinogeni avrebbero,
cioè, potuto manifestarsi, anche lontano dai riti e senza assunzione delle
sostanze psicotrope, gli effetti allucinatori dell'unguento.
Tuttavia questo non ci
sembra il motivo per cui Ginzburg tende a escludere la presenza di riti
sciamanici sul nostro continente; al contrario, è presente nella sua
ricerca, già dai tempi dei Benandanti, come abbiamo visto, la diffidenza
verso qualsiasi tesi psichiatrica o, per così dire, narcotica. Diffidenza
legittima, ma che non può, a nostro avviso, indurre lo storico a ignorare
i fatti di cui siamo a conoscenza.
Come è possibile,
infatti, misconoscere l'importanza dell'esperimento compiuto dal Della
Porta quando oggi è risaputo, grazie a rigorose ricerche scientifiche, che
gli effetti delle erbe utilizzate per la preparazione di quell'unguento
sono tali da giustificare le fantastiche visioni delle streghe? E ancora.
Come è possibile limitare a una semplice battuta a piè di pagina
l'importante querelle che vide contrapposti, nel '500, i fautori della
realtà diabolica del volo e quelli che invece ne sostenevano l'origine
naturale (e dunque allucinogena)?
E' evidente che simili
posizioni, pur comprensibili nel contesto della critica all'ancor diffuso
riduzionismo storiografico, rischiano di fatto di oscurare aspetti
importanti del fenomeno. D'altro canto, è vero altresì che nello
scetticismo di un Ginzburg si riflette non solo la difficoltà dello
storico nel reperire i documenti, ma un ostacolo di ordine
psicologico che aggetta, a nostro avviso, le sue basi proprio nel
fenomeno della caccia e in quello che esso ha storicamente comportato per
tutti noi.
Dopo la distruzione dei
riti e la mistificazione dei simboli a essi collegati, ci è oltremodo
difficile confrontarci diacronicamente e sincronicamente con le esperienze
estatiche (da quelle maturate in ambito religioso cristiano all'estasi
artistica, fino a quella amorosa). Tanto più con quelle originate dall'uso
di sostanze stupefacenti.
Si sente spesso dire che
qui da noi, in Europa, manca la cultura degli allucinogeni. Non è solo il
volgo ad affermarlo, ma anche personalità come Albert Hoffman, lo
scopritore del LSD. Per molti - e ne fanno fede alcuni recenti articoli
comparsi sulla stampa nazionale contrari alla pubblicazione di pericolosi
libelli, come l'intervista, edita per i tipi della Millelire, al
menzionato padre dell'acido lisergico - invece le droghe sono
semplicemente aliene dalla nostra civiltà ed, anzi, ne costituiscono una
pericolosa e insidiosa minaccia, sul piano individuale e collettivo. A
distanza di secoli dalla drammatica vicenda della caccia, i fumi dei
roghi, per così dire, continuano a offuscare le nostre coscienze,
impedendoci un equilibrato rapporto con le cose che ci circondano, ivi
compre le droghe.
In fondo, guardare
alla caccia implica proprio questo: fare i conti con il nostro passato
primitivo e religioso, con quanto di esso distortamente ha continuato a
sopravvivere in noi fino ad oggi, spingendoci ad assumere comportamenti
nevrotici e atteggiamenti schizoidi. Se è vero che la cura della mente
avviene attraverso i simboli, e non solo tramite le medicine, forse dallo
studio della caccia, dall'analisi del patrimonio folklorico che fu in esso
distrutto (in ogni suo aspetto), potremo recuperare alla nostra coscienza
qualcosa del numinoso mondo delle streghe e forse una volta tanto,
contrariamente alle fiabe della nostra infanzia, la strega cattiva potrà
aiutarci a sconfiggere il disagio attuale.
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La tregenda, incisione tratta dalla
Daemonolatria di Remigius (1693) |
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